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Disinquinare le coscienze, purificare i simboli PDF Stampa E-mail
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mercoled́ 13 maggio 2009
L'intervento del vescovo al convegno " Diritti e doveri della legalità" con il pm Andrea Tarondo e il sindaco Vittorio Sgarbi

Diritti e Doveri della Legalità

Hotel Cristal - Trapani

Intervento programmato del vescovo di Trapani

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 Nel preparare quest’intervento mi sono interrogato sul ruolo e l’impegno della Chiesa nel promuovere i diritti e il dovere irrinunciabile della legalità. In maniera sintetica risponderei che il contributo che la chiesa può dare è duplice: da una parte contribuire ad un rinnovamento culturale, a partire dalle coscienze dei singoli; dall’altro annunciare e testimoniare la cultura della vita come antidoto all’anticultura mafiosa della morte e del servilismo. Ecco il compito della chiesa. Papa Benedetto XVI in un messaggio di alcuni anni fa scriveva che la chiesa ha vissuto “la tentazione di ritenere che, dinanzi ad urgenze pressanti, si dovesse in primo luogo provvedere a cambiare le strutture esterne”. Questo – secondo il Papa – trasformerebbe “il cristianesimo in un moralismo” e sostituirebbe “il credere con il fare” (cfr Benedetto XVI, Messaggio per la Quaresima 2006). Il compito educativo che la chiesa, anche oggi e qui nel nostro territorio, si sforza di proporre tra i giovani, le famiglie e tra i più poveri – spesso lontani dai grandi dibattiti delle idee e dimenticati dai cosiddetti uomini di cultura – riguarda sempre la promozione della dignità della persona, la promozione di un umanesimo integrale che è “sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini” (Paolo VI). Per questo il primo contributo che la Chiesa offre allo sviluppo dell’uomo e dei popoli, non si sostanzia in mezzi materiali ma promuovendo la formazione di una cultura che risponda veramente a tutte le domande dell’uomo: “All'anti-cultura della morte si contrappone l'amore che non cerca se stesso, ma che, proprio nella disponibilità a « perdere se stesso » per l'altro (cfr Lc 17, 33 e par.), si rivela come cultura della vita.” ( cfr Benedetto XVI, Deus Caritas Est).

Non si tratta di concetti astratti o di un impegno generico. La mafia, infatti, non è solo comportamento, è anche una "cultura" mafiosa: cultura nell'accezione antropologica, come maniera di sentire, pensare e agire.

La mafia è miseria morale che causa a sua volta miseria, asservimento, disuguaglianza, ingiustizia sociale. Senza questa passione per la dignità umana e per l’amore che dona se stesso senza chiedere nulla in cambio, non si potrebbe cogliere fino in fono quelle parole che hanno sancito uno spartiacque nella chiesa siciliana che ricordo ancora in maniera indelebile, gridate mentre gli ero seduto accanto, da Giovanni Paolo II il 9 Maggio del 1993 ad Agrigento. “…Nel nome di questo Cristo crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, lo dico ai responsabili: convertitevi! Per amore di Dio. Un giorno verrà il giudizio di Dio!”. Nella visita ad limina del novembre 1991 rivolgendosi ai vescovi siciliani Giovanni Paolo II aveva richiamato la necessità di “una pastorale nuova, nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nella sua espressione per riannunziare il Vangelo agli uomini di Sicilia e raggiungere in modo vitale e fino alle radici la loro cultura, impregnandola efficacemente della buona novella di Cristo e sconvolgere, mediante la sua forza, i criteri di giudizio, i valori determinanti, i modelli di vita che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza”. L’icona di questa pastorale nuova sarebbe diventata pochi mesi dopo un sacerdote mite, che viveva il suo ministero con radicalità ma senza roboanti dichiarazioni pubbliche. Don Pino Puglisi con il suo esempio e la sua silenziosa ma tenace determinazione ha attivato nel quartiere di Brancaccio un percorso di risveglio della dignità umana, della sacralità della vita, della solidarietà, del diritto da richiedere non come favore. Tutto questo ha rappresentato un grave pericolo per la mafia perchè ha intaccato alla radice la logica e la cultura di un vivere violento ed arrogante. “Chi usa la violenza non è un uomo, chiediamo a chi ci ostacola di riappropriarsi della sua umanità”- diceva don Pino in una intervista al Giornale di Sicilia pochi mesi prima della sua morte ( 26/7/1993).

Per disinquinare le coscienze non conosco altro rimedio se non quello che Gesù ci ha portato come annuncio di liberazione vera: ama Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutto te stesso e il prossimo come te stesso. Senza disinquinare il cuore dell’uomo dal male, senza rinnovare la coscienza dei singoli, nessuna legge, nessuna struttura o azione, anche la migliore, porterà la liberazione dalla mala pianta della mafia, atea e assassina perché quando non uccide fisicamente uccide comunque la speranza e il futuro della nostra terra. In questi anni come Chiesa di Trapani abbiamo cercato di fare la nostra parte, ci siamo impegnati a tutti i livelli per creare un percorso ecclesiale di rinnovamento e di promozione di una cultura della vita. Dalla grande riflessione interna dell’anno giubilare con la lettera “Ecco ora il momento favorevole” in cui ho inviato tutte le comunità a guardarsi “con verità e sincerità” ed avviare un cammino di purificazione, “ad abbandonare le opere delle tenebre per vivere nella profezia della luce” sull’onda della grande richiesta di perdono fatta da Giovanni Paolo II per gli errori commessi da uomini di chiesa, alle decine, anzi, centinaia di iniziative culturali e artistiche messe in campo per innalzare il livello culturale del territorio e incanalare in sentieri di bene le potenzialità della nostra terra cercando il dialogo leale con tutti. L’ultima scommessa è la biblioteca diocesana “Giovanni Biagio Amico”: un servizio pubblico gratuito con una sezione dedicata ai bambini dai quali vogliamo ripartire perché con l’amore ai libri, alla cultura vera che non si abbandona al provincialismo arrogante e mediocre, possiamo nutrire personalità libere e forti (cfr Piano Pastorale Diocesano 1998-99).

Un altro anello importante riguarda la pietà popolare. Spesso, infatti, scandalizzati assistiamo all’uso strumentale che i mafiosi fanno dei simboli e dei riti religiosi. Per questo abbiamo puntato alla cultura della vita, rimettendo al centro delle celebrazioni devozionali il mistero della resurrezione. Il cristianesimo è la religione della vita e del bene, degli uomini che vivono del coraggio e della speranza della resurrezione e non si crogiolano nella rassegnazione, nel servilismo di chi è condannato senza la possibilità che nulla cambi. I segni della devozione non possono diventare lo sgabello della cultura mafiosa. Come chiesa non vogliamo essere complici di un simile mistificazione della fede. Come a Castellammare del Golfo quando i parroci hanno chiesto un rinnovato impegno morale ai fedeli prima di dare vita alla più importante festa religiosa cittadina. Portare in processione la Madonna senza prendere coscienza che era prima necessario “uscire dalla tomba, come Lazzaro” dopo i gravi episodi accaduti in città non avrebbe avuto senso. In questi anni la chiesa non è rimasta assente né silente, certo nel suo ruolo: senza diventare “religione civile” o un’associazione antimafia o sostituendosi agli organi dello stato che hanno fatto e bene il loro dovere. C’è stata una discontinuità percepita e vissuta anche nelle comunità più piccole, un percorso vissuto insieme a tanti pezzi della società trapanese. La cultura della vita, la cultura dell'amore che si oppone al familismo particolaristico di stampo mafioso genererà, costruirà la civiltà dell'amore: un amore che non deve aspettarsi qualcosa in cambio, ma deve donare con umiltà, condividere in libertà, servire gratuitamente. Scriveva ancora don Puglisi “ lì dove c'è amore c'è giustizia, legalità, rispetto della vita, autentica e vera libertà (Don Pino Puglisi prete e martire, Il pozzo di Giacobbe Editore).

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 Alla mafia del mondo agricolo via via si è sostituita la mafia dei colletti bianchi che, a mio modesto avviso, si presenta più pericolosa perché contigua e per certi versi complementare al potere politico ed economico. In questo scenario di morte e non di vita, di ingiustizie, di illegalità diffusa, di interessi di parte, di lobby, di cosche, di famiglie mafiose camuffate da perbenismo borghese ed etichettate nella legalità da connivenze tecnico- amministrative si fa strada la mentalità di doversi arrangiare, di doversi fare giustizia da sé, di vedersi vittime di tutto e di tutti e pertanto di chiedere la protezione di chi appare potente e capace di risolvere un qualche problema personale o familiare o di gruppo sociale. Il bene comune scompare dall'orizzonte del sociale e la clientela dilaga come ultima ragione di vita per poter barcamenarsi e non affondare. Questo è il dato veramente preoccupante su cui tutti, per la nostra parte, siamo chiamati ad interrogarci e ad assumere responsabilmente impegni concreti di testimonianza di vita.

Ben venga il dibattito in cui uomini dello stato, politica, informazione, imprenditori, lavoratori si confrontano a viso aperto. C’è bisogno di confronto e di un livello qualitativamente più alto, serio e costruttivo nel dibattito pubblico e c’è bisogno di allargare questo confronto e questi temi di discussione a quegli strati della popolazione che rischiano di rimanere impermeabili alle necessità del bene comune. Come dicevo quest’anno a conclusione della processione dei misteri non dobbiamo accontentarci di “vivacchiare”. “È vita degna la vita di chi sempre e comunque rispetta l’altro, e si sforza di compiere ogni giorno il proprio dovere, si fa carico del bene della collettività anche a costo di sacrifici, si fa strumento di comunione.”

Senza questo coraggioso impegno di responsabilità personale, l’impegno antimafia sarà percepito come qualcosa “contro” e ristretto ad un piccolo gruppo, ad una elite. L’impegno antimafia può creare dibattito ma non può dividere, deve vederci invece tutti – stato, politica, imprenditoria, forze sociali – uniti, disponibili al sacrificio personale perché il bene più grande si realizzi.

“Rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera- ha dichiarato una volta il giudice “ragazzino” Rosario Livatino - Il sommo atto di giustizia è necessariamente sommo atto di amore se è giustizia vera, e viceversa se è amore autentico."

Trapani, 12 Maggio 2009

+ Francesco Micciché

 
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