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Alziamo lo sguardo: gli auguri del vescovo PDF Stampa E-mail
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luned́ 21 dicembre 2009
Il messaggio verrà letto nelle parrocchie della Diocesi

Carissimi figli e fratelli carissimi,

l’approssimarsi delle feste natalizie e insieme il difficile momento storico che stiamo vivendo mi hanno spinto, dopo una sofferta riflessione, a rivolgermi a tutti per un augurio e ad un invito che spero vogliate condividere perché questo Santo Natale 2009 sia vissuto nel segno della speranza.

 Ci sentiamo tutti dentro un succedersi vorticoso di fatti che creano smarrimento. Come se la ragione fosse divenuta muta e non sappia più orientare il nostro cammino di uomini verso il bene: una sconfitta della pace, della giustizia, dei più deboli. Il dibattito pubblico sembra incancrenito e falsato, lontano dai veri problemi delle nostre famiglie, dei nostri giovani e del loro futuro. Anche nel nostro territorio, nelle piccole vicende politiche di ogni giorno, assistiamo a volte impotenti a discussioni sterili invece di scorgere uno scatto di impegno positivo e propositivo in questo momento terribile per la crisi economica che mette a rischio i posti di lavoro e la vita stessa delle nostre famiglie e in definitiva rende invisibili le difficoltà dei più deboli.

“L’uomo nella sua vita - ha affermato recentemente Benedetto XVI - è in costante attesa, ma arriva il tempo in cui egli scopre di aver sperato troppo poco se, al di là della professione o della posizione sociale, non gli rimane niente altro da sperare. La speranza segna il cammino dell’umanità, ma per i cristiani essa è animata da una certezza: il Signore è presente nello scorrere della nostra vita, ci accompagna e un giorno asciugherà anche le nostre lacrime. Un giorno, non lontano, tutto troverà il suo compimento nel Regno di Dio, Regno di giustizia e di pace”.

Questo Regno che Cristo con la sua venuta è venuto ad inaugurare, vorrei chiedervi di guardare, di contemplare, di impegnarvi a costruire ogni giorno, uscendo dal guscio dei piccoli interessi personali e familiari.

Il centro dell’uomo è nel suo cuore. Quando il cuore s’inaridisce e diventa opaco, sordo e cieco, l’uomo si smarrisce. In un panorama di squallida contrapposizione, che spesso si trasforma solo in cannibalismo politico, sarebbe opportuno fermarsi un po’ e riscoprire la bontà del silenzio, un silenzio non omertoso ma un silenzio pieno, di riflessione profonda, di analisi vera sulla nostra vita, sulle nostre scelte, sul nostro territorio.

Non serve colpire l’immaginario collettivo se non si scalfiscono le coscienze per dare una virata a quella strisciante cultura mafiosa che si manifesta nel vivere quotidiano della gente comune e da cui prende linfa vitale la grande mafia, la mafia atea e assassina che attanaglia le potenzialità della nostra terra. Il racket, le estorsioni ed oggi la mafia dei colletti bianchi che mette le mani sugli appalti, sui supermercati, sulle operazioni finanziarie più importanti dello stato, sono l’espressione di un male oscuro e penetrante che, se non riusciamo a prenderne coscienza in maniera corale, rischia di diventare un antistato legalizzato dall’assenso subìto del popolo. Le risorse morali del nostro popolo sono un bene da non disperdere né da sottovalutare: bisogna creare una catena di solidarietà tra quanti hanno a cuore le sorti della nostra isola. La libertà è un bene da conquistare ogni giorno e non c’è libertà vera se la coscienza non è libera, se il cuore non è libero, se non c’è una legge morale che guida le scelte personali e sociali. Non è libertà vera quella osannata da una modernità fatta di trasgressioni.

Dobbiamo disinquinare il nostro cuore.

La mafia (come il clientelismo) si rifà ad una cultura intrisa di materialismo, priva di valori veri, carcerata da una visione provinciale della vita, consegnata ai giovani come la scorciatoia per l’affermazione di sé. Per il mafioso non esiste l’Altro e l’Oltre ed anche quando maschera il suo curriculum di sangue con una parvenza di religiosità, questa ha lo stesso valore simbolico della pistola, del rito blasfemo dell’iniziazione criminale.

Un certo perbenismo si conviene al mafioso doc, che agli occhi della gente può apparire addirittura come un benefattore, un signore rispettabile, un uomo buono a cui dover ricorrere per risolvere eventuali problemi insorgenti. Ma quale senso vogliamo dare all’onore di una persona e di una società?

 “Beati i miti perché erediteranno la terra, beati i poveri di spirito …beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio”: questo, anche oggi, ci ridice Gesù.

Possiamo e dobbiamo farcela, dobbiamo credere in noi stessi, nella nostra capacità di risollevarci, di tirarci fuori dal baratro in cui forze oscure tentano sempre di ricacciarci. L’appartenenza a Cristo e alla Chiesa richiede necessariamente una adesione non formale, ma sostanziale a quel codice di vita che è anche etico dettato da Gesù come tessera di riconoscimento dei suoi discepoli: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). Al di là delle debolezze, anche degli uomini di Chiesa, questo vale per tutti i cristiani. Su questa verità possiamo valutare la nostra appartenenza ecclesiale. Vorrei pensare in positivo e prospettare un domani libero da tutte le pesti sociali che avvelenano la vita delle nostre città.

Per questo, come comunità cristiana, dobbiamo impegnarci nel quotidiano, nelle parrocchie, nei gruppi e nei movimenti a nutrire di valori veri e della capacità di saper leggere e comprendere la realtà, i nostri ragazzi e i nostri giovani. Da loro dobbiamo ripartire. Non andiamo da nessuna parte se non si attivano percorsi formativi seri, facendo leva sull’esperienza e sollevando le menti verso più alti e nobili ideali difficilmente reperibili nel mercato mediatico contemporaneo. Una Chiesa amica dei giovani è una Chiesa che non giudica ma accoglie, fa proprie le problematiche, le attese e le speranze dei giovani, una Chiesa che ama stare in trincea con i giovani lì dove la loro vita si accende o si spegne, lì dove spacciatori di felicità a basso prezzo ammaliano con le loro mortali lusinghe.

Non è facile né semplice comprendere le dinamiche che sottostanno a un certo modo di pensare e di operare, ma è palese il disagio in cui siamo chiamati a muoverci, il timore di sbagliare, di non saper cogliere la sostanza dei comportamenti, delle attese e delle speranze del popolo. Ci proviamo, ogni giorno, con le mille iniziative del nostro progetto di Chiesa: di taglio culturale, formativo, educativo. Dobbiamo fare di più; ma, soprattutto, dobbiamo sollevare lo sguardo, aprire l’orizzonte.

La visita di Dio nel Natale del Signore, fatto bambino, umile e povero, ci invita a sostare in silenzio per capire una presenza. “E’ un invito a comprendere che i singoli eventi - come ci dice sempre Benedetto XVI - sono cenni che Dio ci rivolge”.

Alziamo lo sguardo del nostro cuore, facciamo un serio esame di coscienza, mettiamo in campo, in questo Santo Natale, un gesto di rottura con il passato superando lo stile di un territorio assai provinciale dove spesso è difficile attivare un dialogo libero da preconcetti o semplicemente dagli slogan e dai luoghi comuni, un dialogo veramente rispettoso dell’altro, amante della ricerca autentica della Verità.

Facciamolo come singoli, facciamo come famiglie, facciamolo come comunità cristiana. Affidiamoci a Cristo. Come scrive il nostro Papa Benedetto XVI, Egli “è’ ‘carne’ come noi ed è ‘roccia’ come Dio. Chiunque anela alla libertà, alla giustizia, alla pace può risollevarsi e alzare il capo, perché in Cristo la liberazione è vicina (cfr Lc 21,28). Possiamo pertanto affermare che Gesù Cristo non riguarda solo i cristiani, o solo i credenti, ma tutti gli uomini, perché Egli, che è il centro della fede, è anche il fondamento della speranza. E della speranza ogni essere umano ha costantemente bisogno”.

Auguri!

+ Francesco Micciché vescovo

 
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