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Lettera aperta del vescovo su lavoro, sviluppo, legalità PDF Stampa E-mail
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martedì 02 marzo 2010
Una nuova cultura del lavoro per contrastare la crisi economica

Una nuova cultura del lavoro per contrastare la crisi economica

Il lavoro, lo sviluppo, la responsabilità, la legalità

“Ho udito il grido del mio popolo” (Es 3,7).

“La solidarietà è anche una vera e propria virtù morale, non un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siano veramente responsabili di tutti”. (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 193)

Carissimi,

viviamo in tempi difficili per la crisi di valori che investe ogni campo della vita umana e per la vistosa e perdurante crisi economica che sta attraversando e destabilizzando la società. La caduta delle ideologie e l’affermarsi di un relativismo etico diffuso ha portato larghe fasce del nostro popolo ad allontanarsi dal modo di pensare e di vivere ispirato alla fede e si è arenato in un pragmatismo sterile, senz’anima, che avvilisce la persona, la rende schiava di bisogni fasulli in un orizzonte squallido di felicità a basso costo dove non alligna la speranza, né trova spazio l’amore vero. La vita personale fluttua in un mare in tempesta dove, senza punti di riferimento certi, si vive in balia delle onde, soli con i problemi di un mondo ostile dove conta solo ciò cha appare, dove la compassione viene considerata un retaggio dei deboli e dove ha più chance di vincere il più forte, chi ha più potere politico, economico, culturale. La società sembra esaltare l’altro come valore ma in realtà una comunicazione drogata martella tutti con le risse, le contrapposizioni, i luoghi comuni che diventano verità, proponendo un modello di relazioni umane e sociali in cui l’altro è un nemico sempre e comunque da abbattere. Sul piano dell’equilibrio dei poteri dello Stato c’è grande confusione e i toni della polemica raggiungono talvolta livelli insopportabili.

In questo contesto la Sicilia vive la marginalità di un territorio vessato dal malcostume politico, dalla mafia che spadroneggia e s’infiltra anche nei gangli nevralgici del sistema sociale, dall’abbandono dello stato non sempre vigile, attento e interessato, da un sistema autonomistico obsoleto, rissoso e inconcludente. Uno stato non retto secondo giustizia, ci ricorda Benedetto XVI nell’enciclica Deus Caritas est, si riduce ad una banda di ladri; la giustizia deve essere “lo scopo e la misura intrinseca di ogni politica” (cfr. Deus Caritas est, 28).

Il nostro territorio in particolare, in questo panorama di desolante squallore, si presenta come il ventre molle di un sistema perverso, ingiusto e inumano perché privo dell’afflato fraterno e solidale che dovrebbe caratterizzare ogni società civile degna di questo nome. Il nostro territorio, infatti, è afflitto da una povertà che è diventata per tanti, per troppi cittadini insopportabile. Le poche risorse di lavoro sembrano destinate a ridursi sempre più, le prospettive di sviluppo sono scarse e incerte e le famiglie stentano a vivere con un minimo di dignità. E’ anche vero che a fronte di lavoratori sfruttati e mal pagati, esiste anche una sacca di lavoratori poco motivati, disinteressati: persone a cui manca una vera cultura dell’impegno e della responsabilità e che spesso compromettono la qualità dei servizi resi alla collettività.

E’ necessario promuovere una nuova cultura del lavoro che ne riconosca il valore intrinseco: il lavoro, dice il Magistero della Chiesa, è superiore a qualsiasi altro fattore di produzione. Difendere i diritti del lavoratore significa anche esaltare il valore sociale del lavoro. “Il lavoro è una collaborazione all’azione creatrice di Dio. Con il lavoro la persona si realizza, cresce, aiuta lo sviluppo della società. Ognuno nel proprio ruolo, anche con il lavoro più umile e insignificante, partecipa dell’opera creatrice di Dio! “Il lavoro può essere considerato come un mezzo di santificazione e un’animazione delle realtà terrene nello Spirito di Cristo. Così raffigurato il lavoro è l’espressione della piena umanità dell’uomo” (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 263). Come scrive Sant’Ambrogio, “ciascun lavoratore è la mano di Cristo che continua a creare e a fare del bene”.

Che tristezza dover constatare la scomparsa di mestieri artigianali che nel passato hanno fatto la storia e la ricchezza dei nostri paesi! Una malcelata e deformante mentalità caratterizzata da una visione distorta del lavoro non visto come realizzazione della persona e come capacità di creare e di produrre ma piuttosto come mezzo di elevazione sociale ha messo in naftalina alcuni mestieri ritenuti di poco conto e socialmente penalizzanti che invece anche oggi, coniugati con le nuove tecnologie, possono essere strumenti preziosi per far incontrare il sapere ed il lavoro, la creatività e la voglia di fare con l’abilità professionale. Sappiamo che la crisi occupazionale ha radici lontane in fattori endogeni e purtroppo antichi ai quali si mescolano le prospettive aperte dalla globalizzazione e dall’attuale crisi internazionale. Un sistema economico debole, poco produttivo, privo di infrastrutture dove manca ogni spinta verso l’innovazione, senza investimenti e senza alcuna programmazione organica oggi rischia un arretramento irreversibile verso la povertà. Alcune scelte suicide basate su prospettive di sviluppo industriale che hanno deturpato e inquinato l’ambiente, compromettendo in maniera devastante l’habitat naturalmente votato ad altre e ben più logiche finalità quali il turismo, oggi fanno esplodere la rabbia di chi si è sentito doppiamente tradito dal momento che queste cattedrali nel deserto si apprestano a chiudere i battenti buttando sul lastrico migliaia di lavoratori. I

n questo scenario, la qualità degli apparati burocratici e delle pubbliche amministrazioni, la presenza della mafia e il debole senso della legalità a vari livelli, unito alla mancanza di una vera cultura imprenditoriale e del lavoro giocano a sfavore della nostra terra impedendo ogni processo di cambiamento e di sviluppo. Bisogna scommettere in un nuovo modello di sviluppo e tutte le forze sociali, economiche, imprenditoriali, educative devono assumere un impegno di responsabilità e promuovere a livello culturale un nuovo corso. La realtà che abbiamo di fronte è desolante, ma non irreparabile. Non possiamo dimenticare tutti coloro che in questo momento soffrono a causa della crisi economica. Oggi sono gli impiegati dei call-center come i dipendenti della Fiat a Termini Imerese, i lavoratori dell’agricoltura e dell’edilizia e tutti gli “invisibili”, lavoratori che nonostante mille sforzi non riescono a trovare un lavoro degno o che il lavoro l’hanno perso le cui condizioni non riescono a catturare l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica. Sono le categorie di persone che conoscono bene i parroci e i volontari della Caritas.

Un sussulto di onestà intellettuale ci porti a pensare alle nostre città con un di più di amore per i fratelli che ci stanno accanto, per le famiglie che sono in difficoltà, per chi ha perso il lavoro ed è disperato, per i giovani senza prospettive per il loro domani. “All’interno della comunità dei credenti non deve esservi una forma di povertà tale che a qualcuno siano negati i beni necessari per una vita dignitosa” (Deus caritas est, 20). Non manchi la solidarietà concreta e personale da parte di ciascuno di noi ma non fermiamoci a questo: è necessaria anche una riflessione e una “conversione” che porti ad una virata complessiva verso un modello di sviluppo autentico che rispetti le regole e la dignità della persona umana, che produca benessere e migliori la qualità della vita sociale e culturale. Solidarietà e sussidiarietà sono il binomio vincente di una società che intende puntare sulla qualità della vita umana dal concepimento alla morte.

Sento il dovere di alzare forte la voce in favore degli ultimi, di chi non ha voce, di chi chiede non il superfluo ma il necessario per vivere, di chi non ce la fa a sbarcare il lunario e bussa alla porta del nostro cuore chiedendoci solidarietà fattiva, condivisione dei beni, vicinanza, prossimità. Si sveglino i politici e facciano qualcosa, usino il potere che hanno per servire la causa degli ultimi: non si crogiolino nel loro mondo dorato fatto di privilegi e disattento e sordo ai bisogni del popolo. Mentre la casa brucia non è lecito discutere su chi deve intervenire per spegnere l’incendio. Bisogna darsi da fare!

Come Chiesa siamo chiamati in causa perché una chiesa disattenta e lontana dai reali bisogni dell’uomo è una chiesa che tradisce il suo fondatore Gesù Cristo. Nel grande processo di assunzione di responsabilità e di formazione delle coscienze, di uomini nuovi, le comunità ecclesiali devono essere in prima linea nell’attivare reti di solidarietà e di sinergia tra tutti, nel promuovere una nuova cultura del lavoro. “Cultura del bene comune, della cittadinanza, del diritto, della buona amministrazione e della sana impresa nel rifiuto dell’illegalità: sono i capisaldi che attendono di essere sostenuti e promossi all’interno di un grande progetto educativo. La Chiesa deve alimentare costantemente le risorse umane e spirituali da investire in tale cultura per promuovere il ruolo attivo dei credenti nella società. ( CEI, Per un paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno, 16)

Siamo consapevoli che spesso tanti interventi, soprattutto pubblici, invece di promuovere solidarietà, per una logica perversa, hanno finito per creare imprese bluff, imprenditori fasulli, precari e lavoratori cosiddetti socialmente utili. Tutto ciò è moralmente inaccettabile perché contrario alla dignità dell’uomo e chiama in causa in primo luogo il ruolo delle scelte politiche (a volte scellerate) ma anche la responsabilità sociale dell’impresa. “L’esercizio delle responsabilità imprenditoriali e dirigenziali esige, oltre ad uno sforzo di aggiornamento specifico, una costante riflessione sulle motivazioni morali che devono guidare le scelte personali di chi è investito in tali compiti” (cfr. idem, 344).

Guardare da un’altra parte non serve al futuro della nostra terra né è possibile nascondersi dietro il paravento di una formale legalità che però si rivela intrinsecamente a-morale. Con un impegno etico rinnovato, il rigore della professionalità e della formazione possiamo rimettere al centro del sistema economico il suo vero motore: il lavoro, il lavoro produttivo investendo sul capitale umano e intellettuale, dando valore al merito, sostenendo i più deboli. E’ un impegno corale al quale spero nessuno vorrà sottrarsi.

Nel Vangelo di Marco, nel racconto della moltiplicazione del pane e dei pesci, agli apostoli che chiedono a Gesù di sfamare la folla, Gesù risponde: “Date loro voi stessi da mangiare (Mc 6, 37). Gesù ci ripete anche oggi, davanti alla fame di lavoro e dignità, di donare noi stessi, con tutte le nostre forze per risollevare le sorti dei nostri fratelli provati da una congiuntura economica dagli effetti devastanti. Rimbocchiamoci le maniche, invertiamo la tendenza, ognuno per la nostra parte, doniamo noi stessi per il bene comune, per un modello di sviluppo autentico, fraterno, nella legalità. E’ possibile, anche nella nostra terra, creare forme di produzione e di ricchezza coniugandole con il principio di condivisione e di servizio che nella sua forma più alta è quello della comunione superando le logiche perdenti del clientelismo, dell’ignavia, della corruzione.

A tutti, soprattutto a chi sta vivendo momenti difficili per la crisi economica, non manchi la vicinanza, il conforto e l’aiuto concreto della Chiesa.

Trapani, II Domenica di Quaresima 2010

 + Francesco Miccichè Vescovo

 
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