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Giubileo: la speranza non chiude PDF Stampa E-mail
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luned́ 14 novembre 2016
Un modello per continuare il cammino: Rosario Livatino. 

Nelle più antiche Basiliche della Diocesi come nella porta di ogni cella delle carceri.

La misericordia è sempre possibile e genera fraternità nelle nostre città.

Rendere giustizia è già preghiera. Nessuna vita è fallita. La nostra dignità di persone è intangibile e non sta nel “successo”: per tutti è possibile ricominciare e rialzarsi

Un modello: Rosario Livatino, il giudice umile che ha vissuto lontano dai riflettori e che ha scelto il bene pagando con la vita.

L’ultimo segno del Giubileo a Trapani. Le “croci di Lampedusa” donate ai detenuti, agli anziani, alle monache di clausura e ai nostri bersaglieri in Iraq

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Con una solenne concelebrazione in Cattedrale si è concluso sabato sera 12 novembre a Trapani il Giubileo della Misericordia, il primo nella storia che non si è celebrato solo a Roma ma in tutte le Diocesi del mondo. La Porta Santa della Cattedrale “San Lorenzo” era stata aperta il 14 dicembre del 2015 dal vescovo Fragnelli che aveva scelto di attraversarla per primo non da solo, ma accompagnato da una famiglia. Il giorno dopo erano state aperte le “porte Sante” negli altri centri della Diocesi. Non solo storiche basiliche ma anche semplici parrocchie: addirittura ogni porta di cella in ogni prigione ha potuto essere, per i suoi occupanti, Porta di Misericordia: è bastato varcarla «rivolgendo la preghiera e il pensiero al Padre».

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Ma con quale scopo erano state aperte, un anno fa, le Porte? Papa Francesco – aveva detto il vescovo Fragnelli - non vuole limitarsi a denunciare i mali della società, l’oppressione dei più deboli, la corruzione o la mistificazione della verità; vuole coraggiosamente rilanciare “la gioia del Vangelo”, annunciando a tutti che la misericordia è sempre possibile. Con lui anche noi chiediamo a tutti gli uomini di buona volontà ma specialmente alla gente più umile e povera delle nostre famiglie di fare una nuova esperienza dell’amore misericordioso di Dio e di testimoniarlo con coraggio. Ricevere misericordia e portarla agli altri fino a generare la speranza di una nuova fraternità possibile e condivisa.

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Il vescovo Fragnelli sabato sera nel concludere questo periodo di grazia, vissuto con diverse celebrazioni durante l’anno, ha indicato un testimone al quale fare riferimento per continuare a sperimentare la grazia della misericordia nella nostra vita e per fare crescere il bene nel nostro territorio: Rosario Livatino, il giudice umile che ha vissuto lontano dai riflettori e che è stato ucciso nel 1990 mentre si recava, senza scorta, al lavoro in tribunale. “ Mi piace concludere l'anno della misericordia citando Rosario Livatino che aveva come motto "sub tutela Dei". Mettiamo ogni giorno della nostra vita come lui "sotto la tutela di Dio" praticando il bene. Ogni giorno siamo chiamati a scegliere tra numerose strade e soluzioni qual è il bene: il bene nel nostro lavoro, nella nostra famiglia, nella nostra città se abbiamo delle responsabilità istituzionali. Ogni volta che scegliamo il bene, anche se comporta pagare un prezzo, sappiamo che questo è rendere giustizia e rendere giustizia è già è preghiera. Nessuno è misericordioso se non è anche giusto e non è giusto se non è anche misericordioso.

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Parlando ai detenuti il vescovo il giorno prima aveva detto che sperimentare la misericordia significa essere consapevoli che si può sempre ricominciare, che è possibile sempre rialzarsi, che il valore della nostra vita non sta nel successo. “La vostra vita non è fallita perché siete in carcere – ha detto mons. Fragnelli – come non dobbiamo dire che la nostra vita è fallita perché non abbiamo lavoro o perché la nostra famiglia si è separata. L’Amore misericordioso di Dio in questo Anno di grazia ci ha ridetto che noi valiamo non in base al successo sociale della nostra esistenza ma per quello che siamo realmente: noi siamo stati pensati da Dio come esseri capaci sempre di ricominciare ad amare, nel più profondo del nostro cuore c’è il segno di una dignità intangibile e di una speranza più grande”.

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 Infine l’ultimo gesto del giubileo a Trapani. Al termine della celebrazione il vescovo Pietro Maria Fragnelli ha compiuto un gesto dalla forte valenza simbolica: donando una croce realizzata con i resti dei barconi naufragati sulla costa di Lampedusa ad alcuni detenuti della Casa Circondariale Di Trapani accompagnati dal comandante Giuseppe Romano, ad una rappresentante della Casa di riposo del “Serraino Vulpitta” di Trapani e al cappellano delle monache clarisse. Infine, il vescovo - che ha ricordato il 13° anniversario della strage di Nassiriya - ha donato una croce al comandante del 6° Reggimento dei Bersaglieri di Trapani come segno della vicinanza di tutta la comunità diocesana ai nostri militari che si trovano in Iraq, implorando la pace. Il segno del Giubileo è la vita delle persone: la croce di Cristo – ha detto papa Francesco - la si vede nelle persone buone e giuste che fanno il bene senza cercare gli applausi o l’ammirazione degli altri e in tutti coloro che illuminano il buio della nostra vita, coloro che come candele che si consumano gratuitamente per illuminare la vita di tutti, soprattutto di chi è in difficoltà.

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La Santa Messa è stata concelebrata dall'arcivescovo di Bucarest Ioan Rabu che ha rivolto un saluto all'assemblea prima della benedizione finale. 

 
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