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Lettera del vescovo ai politici PDF Stampa E-mail
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venerd́ 25 novembre 2005
Dopo le operazioni di polizia dei giorni scorsi

E’  una lunga lettera quella che il vescovo  Francesco  Miccichè ha inviato personalmente ai “fratelli che vivono la sofferenza dell’avviso di garanzia e del carcere e a tutti i politici del territorio trapanese”  dopo gli ultimi sviluppi dell’operazione di polizia “ Progetto Peronospera” .
Quattro cartelle fitte in cui il capo della chiesa trapanese invita tutti a ripensare il significato della politica, sollecita la società civile a vincere l’immobilismo, propone un dialogo aperto tra tutte le istituzioni per una nuova partecipazione allo sviluppo delle istituzioni,  richiama i politici a rispondere a Dio e alla propria coscienza lasciandosi guidare dal credo morale e conclude con l’augurio  che “la nostra coscienza possa essere tormentata e non lasciata in pace da tutte queste problematiche”.


Di seguito il testo integrale della lettera





 


 

 
Ai carissimi fratelli che a causa di indagini giudiziarie
sull’intreccio mafia-politica vivono la sofferenza
dell’avviso di garanzia o del carcere
e a tutti i politici comunali, provinciali,

regionali e nazionali

rappresentanti di questo territorio

Loro sede




Mi permetto sommessamente di suggerire una strategia di verità che parte da un imperativo:

fermiamoci a pensare sul significato della politica nella nostra vita e nella vita degli uomini e delle donne della nostra terra.


La politica – in una visione culturale che prende forza dal pensiero e dalla dottrina cattolica – è “forma alta di carità”.

Si pone pertanto come servizio all’uomo per il raggiungimento di una sana promozione e di un giusto sviluppo delle sue potenzialità.

Fare politica è una questione di amore, di credo nell’uomo, dopo Dio il valore più grande in assoluto.

Tutto ciò che la politica può pensare, progettare e volere deve essere finalizzato all’uomo.

La politica vera ha una sola preferenza: gli ultimi della società, i più deboli, la vita che nasce, la famiglia.

 
L’arte della politica va coltivata e difesa dalla deriva di una politica marcia che, smarrendo la bussola dell’umanità da servire, si fa garante di interessi inconfessabili e disonesti.
Guai a pensarla come un affare che privilegia gli utili e gli interessi di una parte a scapito di un’altra.
Quando, a causa della cattiva politica imbrogliona e truffaldina, questa nobile e necessaria arte viene vista con disprezzo, siamo nell’anticamera dell’anarchia che affascina soprattutto le fasce giovanili, in genere insofferenti verso ogni autorità.

Perché la politica sana non sia velleitario proposito,

il politico è chiamato a farsi voce di chi non ha voce, ad accogliere l’urlo degli ultimi.

Deve farsi “prossimo” nella logica di stare in mezzo – e non sopra – la gente, le situazioni reali, i problemi del territorio.

È un uomo che ama stare con i fratelli, condividendo con loro le ansie, le speranze, le difficoltà.

Il politico vero sa di non avere sempre la ricetta pronta per la soluzione dei problemi, tuttavia la risorsa dell’intelligenza attiva e dell’amore operoso sono indispensabili strumenti per tentare possibili ed auspicabili soluzioni.

Insieme al popolo che lo elegge, il politico è chiamato a ripensare alla vocazione del proprio territorio, a progettare a media e a lunga scadenza, a creare le condizioni per un futuro sociale, economico, culturale, religioso più vivibile ed arricchente per l’uomo.


Il popolo si augura che il politico sia ricco di umiltà,
abbia coscienza del proprio limite,
 
possegga il senso del bene comune,
comprenda cosa significhi e cosa comporti la legalità e la giustizia,
voglia spendersi per la causa dell’uomo nelle più varie situazioni di vita,
coltivi il rispetto per l’ambiente,
sia aperto al dialogo e al confronto senza demonizzare e ridicolizzare l’altro,
sia vigile custode dei valori della tradizione.
 
Chi vive la politica come missione sa di andare incontro ad incomprensioni, di poter subire pressioni e proposte allettanti per il raggiungimento e la conservazione del “potere”.
Cedere malauguratamente alla tentazione del facile consenso-successo a scapito dei valori è cadere nel baratro di un ricatto senza fine che annulla la libertà di scelta del politico e rende la politica spregevole agli occhi del popolo.
La società civile, a sua volta, non può e non deve né chiedere né  pretendere dal politico ciò che il politico non può e non deve fare.
 
Quando la politica viene messa alla gogna è la società tutta che viene messa alla gogna.
Per troppo tempo abbiamo dato una delega in bianco ai politici, lasciandoli poi soli e pretendendo da loro il possibile e l’impossibile.
Non si possono chiudere gli occhi davanti ai mali, vecchi e nuovi, che affliggono la Sicilia e questo territorio provinciale in particolar modo.
L’indifferenza, l’apatia, l’ignavia sono mali peggiori del prodotto “malato” espresso dalla nostra società.
 
 
Una società che subisce le organizzazioni criminali, assopita e stanca, che non si ribella e che della legalità ama discutere ma non scommettersi, non è la società che vuole uscire dalle sabbie mobili della sfuggente e camaleontica mafia.
E’ la cultura, il pensiero quotidiano della nostra gente che deve cambiare.

E’ la coscienza civica che deve ricrearsi perché – finche ci sarà “il cuore di pietra e non di carne” - tutto ed il contrario di tutto sarà possibile.
Chiesa, società civile, pubbliche istituzioni, scuola, uomini e donne di buona volontà, prima che sia troppo tardi, siamo chiamati a chiederci: cosa possiamo e dobbiamo fare perché si cambi progressivamente e decisamente registro?
La legalità è il frutto maturo di una presa di coscienza dei diritti e dei doveri che ogni persona ha.
Sulla legalità si gioca la scommessa di una società più sana e più vivibile.
 
  
Mi chiedo:
può esistere legalità
dove c’è bisogno inevaso di lavoro?
dove c’è abbandono e rassegnazione, clientela e omertà?
dove c’è paura e disprezzo delle regole più elementari del vivere sociale?
dove c’è assenza dello Stato?
 
La cultura della legalità ha il suo spazio di vita nel rispetto della propria persona innanzitutto.
 
 
Chi non è capace di rispettare se stesso e la dignità del suo essere, difficilmente è capace di rispettare gli altri.
Il Vangelo è parola di verità anche in questo senso: in positivo con il comandamento “ama il prossimo tuo come te stesso”; in negativo con la regola d’oro “ non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”.
La crisi d’identità in cui stiamo cadendo come singoli e come società, ci fa essere tutti più fragili e più deboli perché, se non sai chi sei, difficilmente riesci ad affermare quali sono i tuoi diritti e quali i tuoi doveri.
L’aver smarrito il senso cristiano della vita in larghe fasce del nostro popolo ha portato inevitabilmente ad un relativismo dell’etica, del pensiero, del comportamento i cui esiti negativi sono sotto gli occhi di tutti.
E’ fuor di luogo stracciarsi le vesti, gridare il “crucifige, crucifige!”, scandalizzarci quando viene tolto il coperchio della pentola che potrebbe svelare fatti, misfatti, interessi, intrighi.
Si faccia giustizia ma non senza carità e verità.

Non posso non essere cristianamente e umanamente vicino, in questo momento, a chi appare ai miei occhi come quell’uomo della parabola evangelica il quale,  sulla strada che va da Gerusalemme a Gerico, aveva bisogno di qualcuno che gli si facesse prossimo e si caricasse delle sue sofferenze.
Al di là del possibile errore, che deve ancora trovare conferma in una sentenza di tribunale, c’è l’uomo, in cui siamo chiamati a vedere Cristo, che va rispettato nella sua dignità.
 
 
 
 
 
La giustizia deve fare il suo corso naturale.

Rinnoviamo la nostra fiducia ai tutori dell’ordine pubblico e alla magistratura e manifestiamo la riconoscenza per quanto hanno fatto e continuano a fare nell’adempimento del loro dovere per il riscatto e la dignità di questa nostra terra. 
Rientra perfettamente nel progetto pastorale della comunità ecclesiale di Trapani la dimensione socio-politica, per cui non mi appare un’indebita incursione di campo prospettare un coinvolgimento della Chiesa perché, in un confronto-dialogo con tutte le Istituzioni presenti sul territorio, si possa uscire dalle sacche dell’immobilismo, del pensiero debole fatto di apatia e di rassegnazione e si passi ad una consapevole, attiva e fruttuosa partecipazione alla vita e allo sviluppo democratico, civile, culturale, economico e morale di questo estremo lembo di Sicilia.
 
L’ottimismo della fede mi suggerisce di caricarmi e di caricarvi di speranza per il futuro. Questa nostra provincia ha le carte in regola per decollare nella libertà, nella giustizia, nella legalità, nella bontà di un vivere civile ordinato, onesto e felice.
 
Vogliamo gridare forte il nostro
“no” all’indifferenza
“no” al pressappochismo
“no” allo scandalo dei pusilli
“no” alle parole vane del politichese corretto
“no” alle contrapposizioni di sapore propagandistico e pre-elettorale
“no” alla cultura mafiosa
 
“no” al disimpegno civico
“no” al qualunquismo
“no” alla notte del pensiero
“no” alla mafia, struttura di peccato atea e assassina
“no” alla politica affaristica, aziendale, di mercato, populista e demagogica
“no” alla paura
“no” al clientelismo
“no” all’illegalità
“no” alla giustizia fai-da-te
“no” alle lobby di potere più o meno occulte
 
Sappiate, fratelli, che se siete in politica è perché Dio vi chiama a questo servizio.
Dovete dare conto a Lui e alla vostra coscienza, oltre che al popolo che vi ha eletti, delle scelte che andate compiendo.
Vi guidi la retta coscienza e il credo morale.
La vostra persona, il vostro stile di vita, le scelte etiche, il pensiero, la testimonianza che date nel quotidiano, sostanziano e colorano di onestà, di verità, di dignità, di bontà la vostra azione politica.
Non vi si chiede solo e soltanto di ben argomentare ma di sapere e volere ben operare.
Il politichese è la negazione del detto evangelico “il vostro parlare sia: sì,sì no,no; il di più viene dal maligno”.
Munitevi del coraggio di credere che si può cambiare in meglio la storia,
coltivate il sogno di un mondo migliore,
 
osate di più nell’immaginare e programmare una società a misura d’uomo,
spendetevi perché si affermi “la civiltà dell’amore”.
L’uomo è veramente libero quando non è più succube delle sue paure e vengono spezzati i lacci della malvagità che nella logica dell’homo homini lupus si alimentano di illegalità e di ingiustizia.
A questa libertà anela la nostra terra,
di questa libertà abbiamo urgente e assoluto bisogno.
Liberi dal malaffare e da una certa politica accomodante,
potremo finalmente godere della solidarietà, della pace sociale,
della sana giustizia, della legalità, del benessere per tutti.
Con l’augurio che la nostra coscienza possa essere “tormentata” e non lasciata in pace da tutte queste problematiche,
con fraterno affetto e amicizia vi saluto e benedico nel Signore.

 
Trapani, 18 novembre ’05
 
                                                               + Francesco Miccichè
                                                                           Vescovo
 
 
 
 
 
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