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Superare le visioni di parte per il futuro del territorio trapanese PDF Stampa E-mail
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gioved́ 13 novembre 2008
L'intervento del vescovo al consiglio comunale straordinario per l'autorità portuale

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Come l’agire morale del singolo si realizza nel compiere il bene, così l’agire sociale giunge a pienezza realizzando il bene comune. Il bene comune, infatti, può essere inteso come la dimensione sociale e comunitaria del bene morale (CDSC, n. 164).

 

Il bene comune appartiene ad una categoria etica ormai obsoleta che non trova più spazio nel sentire comune odierno e soprattutto nelle scelte di politica economica e sociale che determinano le sorti di un territorio e dei suoi abitanti? E’ una domanda questa, non retorica ma cruciale, vibrante, che nasce dall’amara constatazione di quanto accade attorno a noi. Si diffonde nel senso comune qualcosa che è più di una semplice impressione, quasi una forma di rassegnazione a vedere calpestato questo valore in nome degli interessi particolari, di singoli o di gruppi. Come già aveva chiarito Aristotele, la vita in comune tra esseri umani è cosa ben diversa dalla mera comunanza del pascolo propria degli animali. Nel pascolo, ogni animale mangia per proprio conto e cerca – se gli riesce – di sottrarre cibo agli altri. Nella società umana, invece, il bene di ognuno può essere raggiunto soltanto con l’opera di tutti. Ma, soprattutto, il bene di ognuno non può essere fruito (cioè goduto) se non lo è anche dagli altri…Occorre liberarsi dall’equivoco di intendere il bene comune “solo” come mezzo per il bene proprio. ( cfr Documento preparatorio 45^ Settimana Sociale dei cattolici).

In un mondo in cui la socialità è sfocata e in cui viviamo sempre più da “soli” assolutizzando l’io e divinizzando la libertà individuale è cruciale la nostra domanda: che senso ha il bene comune? Il bene comune presuppone un pensiero, un credo, una convinzione di fondo che trascende, senza oscurare, la centralità dell’io e pone al centro dell’agire sociale la persona come soggetto di diritti e doveri aperta al confronto, che ama relazionarsi con tutti nella verità, senza alcuna pretesa di superiorità o di necessaria conflittualità, senza la volontà pervicace di servirsi degli altri invece di servirli per ottenere benefici personali, anche a costo di illeciti, ruberie, distruzione dell’ambiente ed inquinamento della natura. I venditori di morte sono i primi detrattori del bene comune. Penso a coloro che si arricchiscono con lo spaccio di droga, agli “sfasciacarrozze” di professione che pescano nel torbido di un mondo che si ciba di varie forme di “mafiosità”, di lobby di potere. Questo consiglio comunale straordinario pone un problema che è di vitale importanza per l’intera provincia perché il porto di Trapani non è un problema che riguarda solo la città capoluogo: un porto ferito da uno stop al completamento delle opere previste per renderlo fruibile anche alle grandi navi da crociera con i fondali da scavare e risanare e le strutture da incrementare in vista dell’appuntamento del 2010 con l’area di libero scambio tra i paesi del mediterraneo.

Far decollare il porto di Trapani è un obiettivo politicamente scorretto o eticamente illecito? Come molti trapanesi anch’io mi chiedo: a chi giova questa situazione di stallo? Non potrebbe la politica dei gruppi, delle fazioni, degli schieramenti di parte fare un passo indietro, vincere le visioni miopi e con un sussulto di dignità e di servizio autentico al bene comune, cominciare a ragionare in termini di qualità della vita e assumersi la responsabilità di un impegno corale a far prevalere non gli interessi di parte ma quelli dello sviluppo e del bene dell’intera collettività?

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Il rilancio del porto di Trapani - un sistema portuale che non trascuri gli altri porti della provincia - a chi può fare ombra? Il problema è forse di chi deve intestarsi il merito di riuscire nell’impresa? Non vogliamo crederlo e cerchiamo di guardare avanti. Vestiamoci tutti di un pizzico di umiltà e cominciamo a ragionare in termini di solidarietà. C’è di mezzo il futuro del nostro territorio. Lo sappiamo: un sistema portuale efficiente inevitabilmente porterebbe benessere, sarebbe volano di uno sviluppo che oggi pare come imbrigliato in maniera ineluttabile dentro un male oscuro che si annida nella nostra società che si chiama indifferenza, rassegnazione, “lasciare che le cose vadano come devono andare”, senza prendere in mano il destino della propria comunità, senza progettare strategicamente il futuro, svendendo in ultima analisi il nostro territorio a chi probabilmente ha interesse a tenerlo bloccato.

E’ ora di aprire gli occhi e dire “no” con forza; un “no” convinto e responsabile a chi vuole impedire lo sviluppo del nostro territorio. L’autorità portuale è un’opportunità da non perdere. Perché la provincia di Trapani deve subire questo taglio? Da pastore della chiesa di Trapani sento il dovere in coscienza di ribadire che il porto è un bene da salvaguardare, l’autorità portuale uno strumento da non perdere se non vogliamo ricacciare la nostra città e l’intera provincia nel tunnel buio dell’impotenza. Le enormi possibilità offerte dal nostro territorio con la sua storia, i suoi monumenti, la sua natura, le sue tradizioni vanno sfruttate al massimo.

Il porto è non solo fonte di economia robusta ma anche strumento di scambi, di relazioni che si intrecciano. Nelle relazioni si costruiscono ponti d’amicizia, si cresce nella consapevolezza di essere cittadini del mondo, si allargano gli orizzonti, si accoglie l’altro come amico e compagno di viaggio. E’ stato il porto lo strumento che ha fatto grande Trapani nei secoli passati!

Qualcuno potrebbe obiettare che non è compito della Chiesa né del vescovo entrare nel merito. C’è il rischio, da me valutato, di essere etichettato politicamente, di essere frainteso o peggio strumentalizzato. E’ un rischio che ho deciso di correre, senza paura. L’impegno per il territorio ha una valenza etica: di mezzo c’è il benessere degli uomini e delle donne che qui vivono e lavorano. La Chiesa, come ha affermato Benedetto XVI, “se da una parte riconosce di non essere un agente politico, dall’altra non può esimersi dall’interessarsi del bene dell’intera comunità civile, in cui vive ed opera, e ad essa offre il suo contributo formando nelle classi politiche ed imprenditoriali un genuino spirito di verità e di onestà, volto alla ricerca del bene comune e non del profitto personale” ( cfr Benedetto XVI, Lettera in occasione del centenario delle Settimane Sociali). Lì dove c’è l’uomo che vive, soffre, si dibatte in problematiche esistenziali di vitale importanza, lì c’è la Chiesa per ricordare ai fratelli nella fede e a tutti gli uomini di buona volontà che ciò che riguarda il bene della persona umana non può essere disatteso.

Il porto non è solo una struttura da salvaguardare e potenziare. Dietro questa battaglia che deve unire e non dividere, c’è il peso di un’umanità che vive in questo territorio da promuovere contrastando logiche di parte che alla fine giocano a sfavore della città e della provincia di Trapani. Mi auguro che la questione etica da me sollevata non venga accantonata: c’è di mezzo il futuro di questa città, il futuro dei nostri giovani per i quali vale la pena lottare con tutte le forze, ai quali siamo chiamati a consegnare responsabilmente un mondo più giusto, più solidale, più vivibile, una città dove è possibile vivere e progettare la propria vita senza dover per forza fare le valigie per cercare un lavoro dignitoso.

Maria, la madre di Dio, che è la custode del nostro mare e di quanti approdano nel nostro porto, ottenga a questa città e a questa provincia di vivere nella logica evangelica del servizio all’uomo nel qui ed oggi della storia.

+ Francesco Micciché, vescovo

13 novembre 2008

Sala delle adunanze

Palazzo Cavarretta - Trapani

 
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