L'inedita esposizione di Across the cross affascina visitatori di ogni età ed estrazione culturale
Un successo del tutto inaspettato per la presenza di visitatori è quello che si è registrato nella mostra collaterale al Crocifisso ritrovato di Michelangelo “Across the cross” nella Chiesa di Sant’Alberto che ha proposto un percorso originale attraverso opere e installazioni complesse ma immediate che hanno saputo unire immagine e pensiero, affascinando i visitatori, anche i più giovani.
Una mostra basata sul potenziale simbolico-concettuale della rappresentazione della Croce, esperimento unico nel suo genere per un’esposizione di arte contemporanea, in cui si cimentano artisti provenienti da molte parti del mondo e di culture assai diverse.
“Across the cross è la traduzione inglese di per crucem ad lucem, è il passaggio dalla morte alla vita – spiega il curatore mons. Liborio Palmeri - come il Cristo vuoto che abbiamo voluto rappresentare all’ingresso dell’allestimento. L’ artista anche oggi è costretto a stargli di fronte (across) e misurarsi con il suo significato. Può anche negarlo, ma in questo modo fa il suo gioco. Più nega e offende la croce più essa realizza profondamente il suo significato di strumento di sconfitta e di umiliazione. L’artista allora, anche oggi, può provare a guardarla dall’ una e dall’altra parte (across), come nelle croci siciliane: da una parte il crocifisso, dall’altra il risorto. – continua - Essa rivela così il suo senso vitale e positivo. Insomma la croce è una via di riflessione per andare al di là (across), per fermarsi alla sua soglia o per tentare il viaggio verso un oltre”.
Realizzate con elementi di riciclo, con molle di materasso, pvc, vetro e acqua o capace di “apparire e scomparire” come quella blu vibrante inserita in un parallelepipedo trasparente di MinJungKim, o a forma del tetto di una casa come quella che l’artista senza cittadinanza come l’albanese Adrian Paci rappresenta sulle sue spalle, le croci concettuali di “Across the Cross” rappresentano un percorso inusuale attraverso le grandi domande dell’uomo contemporaneo.
Fra le opere in mostra, “Lo sciamano” del 1989 di George Dick giovane comunista della ex DDR che qualche tempo dopo la caduta del muro prende un cartone e vi incolla una pagina di una edizione della Bibbia del 1700, la chiude con il colore del rosso e bianco – i colori che rappresentano il sangue e l’ acqua – e con l’inchiostro traccia un piccolo crocifisso danzante. Cristo come lo sciamano che nella cultura africana evoca il ritorno degli Dei, rappresenta colui che richiama la presenza di Dio sulla terra.
Un’altra opera curiosa è quella in PVC di Franco Mazzucchelli (Milano) dal titolo “Respiro”. La croce realizzata dall’artista è praticamente riempita dal fiato dell’artista: la croce dunque come respiro dell’anima, come vita. Nella cultura cristiana lo “pneuma”, il respiro è il dono dell’amore all’umanità. Come Cristo sulla croce, esala il suo ultimo respiro come offerta al Padre così l’artista s’identifica con il respiro di Cristo.
Particolare anche il disegno a matita su carta realizzato dall’artista milanese Marco Papa. Nel duomo di Monreale il Cristo “Pantocrator” fa entrare Adamo nel paradiso terrestre a passo di danza. Il crocifisso di Marco Papa danza senza la croce: è il nuovo Adamo che rientra danzando nel paradiso, anticipando la resurrezione. La danza nella tradizione antropologica rappresenta la comunione e la reciprocità. Marco Papa si è ispirato al suo più importante lavoro scaturito dall’incontro con Gene Anthony Ray, l’attore che interpretava Leroy nel celebre telefilm “Saranno Famosi”. Papa ha vissuto con l’attore nel periodo finale della sua vita in cui, abbandonato da tutti, ha concluso i suoi giorni da solo ucciso dall’AIDS. Sul mito del successo e del fallimento la Collezione d’Arte Permanente Contemporanea DI.ART della Diocesi di Trapani ha dedicato un intero progetto ospitando una mostra e un calice di vetro di murano in cui, Leroy, danza per l’ultima volta verso la pienezza del vita eterna.
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