L'indignazione dei miti per vincere il male
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mercoledì 08 giugno 2016
Annullata la festa dell'Arma dopo l'omicidio del maresciallo Mirarchi, i carabinieri della provincia insieme a tutte le autorità civili e militari, si sono riuniti in Cattedrale per celebrare una messa in suffragio. Presente anche il vescovo di Mazara del Vallo Domenico Mogavero. 

 

 

202° Anniversario della Fondazione dell’Arma dei Carabinieri

Santa Messa in suffragio del maresciallo Silvio Mirarchi

Cattedrale “San Lorenzo”, 6 giugno 2016

OMELIA DEL VESCOVO PIETRO MARIA FRAGNELLI

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“Vattene di qui. Dirigiti verso oriente; nasconditi presso il torrente Cherìt, che è a oriente del Giordano. Berrai dal torrente e i corvi per mio comando ti porteranno da mangiare”. (1 Re 17,1-6.)

Carissimi fratelli e sorelle,

le parole tratte dal Libro dei Re ci parlano di un momento cruciale della vita del profeta Elia. Un momento che dice le tensioni del suo paese e le incomprensioni tra l’esperienza di fede e la scelta degli interessi umani, anche di natura politica, se così possiamo dire. Il brano contiene un invito a risalire ad una sorgente particolare per attingere da bere e per nutrirsi di un cibo che viene dalla natura: dagli uccelli del cielo.

L’indignazione dei miti

Meditando su questo testo, alla luce della circostanza che ci ha fatti radunare in modo insolito per celebrare i 202 anni dell’Arma dei Carabinieri, ho pensato ad una parola, ad un’espressione che poteva riconsegnarci il senso dell’esperienza di Elia. Ho pensato all’indignazione dell’uomo mite. Un uomo mite sa che deve attingere a risorse di natura spirituale molto grandi, a risorse ideali alte, per poter affrontare con la mitezza forte della sua determinazione tutta la violenza che lo circonda, che è sempre una violenza legata a interessi particolari, a sistemi di aggressione che non hanno rispetto né per le persone né per il bene comune. Vorrei qui, davanti a voi, poter dire alla famiglia del maresciallo Mirarchi, alla signora Antonella e ai suoi figli, che in quel tragico momento avremmo voluto essere vicini al vostro Silvio, al nostro Silvio: in quel momento avremmo voluto essere vicini con una carezza, con un incoraggiamento, essere lì a confermare le sue scelte di vita, a confermare un uomo mite nella sua scelta di essere fedele, fino in fondo, alla sua missione.

“Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia…”

Nello stesso tempo il Vangelo di oggi ci invita a fare una sosta su un’altra parola che mi sembra importante per noi in questo momento. La parola è una delle beatitudini che abbiamo ascoltato: “beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati”. Elia era uno di questi. Si è allontanato dalla sua gente non per abbandonare il suo rapporto con la storia, ma al contrario: ha preso le distanze per alimentare la sua fame e sete di giustizia, in una visione più ampia, più comprensiva, più inclusiva di quella che era stata la sua missione di profeta in Israele. Credo che dobbiamo pensare così non soltanto i professionisti che hanno un ruolo particolare nella società, ma anche tutti coloro che indossano una divisa, e mi riferisco in modo particolare a voi Carabinieri: voi siete come coloro che hanno fame e sete di giustizia e che dopo tanti anni di storia possono dire che la loro fame e sete è stata saziata dalla gratitudine che viene da tutto il popolo italiano, da tutto il popolo del nostro territorio. E vogliamo dire a tutti voi, come foste un’unica famiglia, la nostra vicinanza. Il vescovo si fa interprete – insieme al confratello Domenico Mogavero – di sentimenti che attraversano lo spirito, il cuore e l’intelligenza di tutti noi per dirvi che da un lato riconosciamo la grandezza di questo mite, il maresciallo Silvio Mirarchi, che si è indignato fino in fondo nei confronti del male e che ha reagito come ha ritenuto suo dovere fare. Dall’altro vogliamo essere vicini a voi perché questa fame e sete di giustizia che avete imparato dalla cultura e dalla storia, che avete imparato sui Codici e sulle leggi, che avete imparato nella relazione diretta con il nostro popolo, possa essere saziata e riconosciuta; possa essere sempre di più incoraggiata anche - perché no? - dalla scelta di tanti giovani che possano intraprendere la vostra vita: che è difficile per tanti versi, ma che riempie il cuore di senso e che incoraggia a cercare il bene. Anche se siamo insidiati continuamente dalle trame oscure di chi crede sia giusto fare diversamente, che sia giusto cercare di fare il proprio interesse, a discapito di quello degli altri, fino a danno della loro vita. Da questo male che si nutre di interessi particolari, noi dobbiamo prendere le distanze, sempre, ma soprattutto in questo momento.

Essere operatori di pace

Poi c’è una terza parola che voglio sottolineare. Ed è quella di un’altra beatitudine proclamata dal Vangelo appena ascoltato: “beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio”. L’indignazione dei miti, la ricerca della sete e della fame di giustizia vanno associate al desiderio di operare per la pace. Operare per la pace significa entrare veramente in una realtà spirituale: sin dalle dimensioni più intime, familiari per poi irradiarla alle associazioni, alle istituzioni, a tutto ciò che struttura la nostra vita sociale, al rapporto tra le città, tra i Paesi. Operare per la pace significa davvero innervare di una dimensione spirituale profonda il nostro cammino storico, la nostra navigazione. Ed è per questo che ora preghiamo perché il Principe della pace, che ci ha donato la sua vita – l’ha donata perché l’ha voluto! – possa essere sempre l’ispiratore e la forza di tutti coloro che operano per la pace. Voglio cogliere quest’occasione – insieme al confratello Domenico – per ringraziare tutti coloro che si fanno operatori di pace, a livelli diversi, nell’amministrazione pubblica come nella prevenzione di ogni sorta di crimine, nell’educazione e nella promozione di una sana cultura della libertà e del servizio alla comunità, fin nell’impegno catechistico e formativo delle nostre realtà parrocchiali.

La fortezza spirituale per scrivere pagine nuove in questo difficile territorio.

A voi, famiglia Mirarchi, cosa dire? È tutto ancora troppo vicino, troppo a caldo per poter riflettere su cosa significhi tutto questo per ciascuno di voi e per tutti noi. Sono abituato a pensare che ogni percorso doloroso della vita ha bisogno di tempi lunghi, di vicinanza discreta da parte della comunità, perché si possa penetrare nella dimensione del senso da dare ad una vita donata così come l’ha donata Silvio Mirarchi. Una vita che si espone alla violenza in cui il mite assomiglia a Gesù Cristo, l’Agnello mite che si lascia immolare al macello. Per i credenti Egli è icona di Resurrezione, per i non credenti icona di un traguardo possibile, non eroico nel senso banale del termine, ma eroico come donazione piena verso la quale si può e si deve camminare se vogliamo costruire una civiltà degna dell’uomo, degna dell’essere umano. Quanto ci siamo detti possa illuminare, sostenere e consolare questa famiglia, possa illuminare e sostenere i Carabinieri nel loro servizio, possa dare a tutti noi, nelle nostre rispettive responsabilità, quella fortezza spirituale di cui abbiamo bisogno perché le nostre mani non si chiudano per la paura o per difendere noi stessi, ma continuino ad aprirsi. Da oggi ancora di più, per abbracciare, per accogliere, per scrivere capitoli nuovi di storia in questo territorio così difficile. Ma è vero che laddove ci sono più difficoltà è più abbondante la grazia, c’è uno sguardo ancora più amorevole e misericordioso del Padre, come ci ripete sempre Papa Francesco. Con l’augurio che tutti possiamo trovare misericordia per diventare misericordiosi.

 

Si ringrazia per la foto: Ornella Fulco