Nuove ipotesi sul martire San Vito
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sabato 31 maggio 2008

San Vito, il giovane martire cristiano sarebbe stato martirizzato dai vandali e non dall’imperatore Diocleziano. E ancora: l’ipogeo scoperto alcuni anni fa nel corso dei lavori di ristrutturazione del santuario di San Vito Lo Capo sarebbe un luogo di grande importanza per la storia della cristianità: un antichissimo battistero che con ogni probabilità è da identificare con quello di “Meltinas”, piccolo e sperduto paese della Sicilia di cui riferisce il vescovo Pascasino di Lilibeo (V secolo). La minuscola e poverissima chiesa di quel paesino, secondo la testimonianza del vescovo a Papa Leone, aveva un piccolo battistero - dove l’acqua si innalzava senza che vi fosse una sorgente - che è stato determinante per stabilire la data della Pasqua così come ancor oggi noi la celebriamo in tutto il mondo cristiano. La descrizione del battistero di Meltinas e i suoi “prodigi” avrebbero una corrispondenza sorprendente con il battistero del Santuario. Sono queste alcune delle ipotesi, suffragate da documenti e ricerche storiche, ma che certamente alimenteranno un dibattito storico e archeologico, contenute nel libro “San Vito, indagine su un martire di Cristo dei primi secoli” di don Piero Messana, arciprete di San Vito Lo Capo presentato stasera ( 6 giugno) nella sala “Biagio Amico” del Seminario Vescovile di Trapani ( edizioni Meeting Point di Erice). “ Vitus – ha spiegato ieri sera don Messana - non è un nome di origine latina ma germanica, molto usato nei suoi composti. Vitus è un martire della fede, di padre vandalo, che, abbracciando la fede cattolica, fu trattato come traditore dal Re Genserico. Fu quindi costretto a fuggire dalla sua Patria e a trovare rifugio in quel paese che oggi chiamiamo San Vito Lo Capo, dove ha subito anche il martirio. Le vicende narrate dalla Passio, che invece afferma che Vito sia stato un martire di Diocleziano, sono verosimili. L’unica cosa da cambiare è il periodo storico. L’Africa del Nord e Cartagine (la regione di Sant’Agostino), da cui proviene il nostro Santo – ha affermato - era a quei tempi la zona più ricca e più colta dell’Impero Romano. Dopo l’invasione dei Vandali - cristiani ariani che perseguitavano i cattolici - i chierici e nobili furono costretti a fuggire. Molti personaggi “importanti” di quella zona si trapiantarono in Sardegna e a Roma. Alcuni di loro divennero addirittura Papi, come per esempio Gelasio, il quale narra della costruzione a Roma di una chiesa in onore di San Vito già nel 492. Sempre a questo papa si deve l’inserimento del Santo nel Messale romano, tra i 18 martiri ivi contenuti. Eppure a Roma si conoscevano ed erano venerati centinaia di martiri. Evidentemente Vito era il campione dei perseguitati africani, fuggiaschi per la fede. Da Roma la devozione a San Vito si diffuse dappertutto, specialmente presso i popoli barbari. Diversi papi furono suoi devoti. Tra questi, Gregorio Magno fondò un monastero molto importante nelle sue proprietà sull’Etna intitolandolo al Santo. Il culto di Vitus è attestato nei primi monasteri benedettini delle valli sublacensi. Viene accolto anche dai Longobardi che lo promossero in tutti i loro domini. Oltre 100 località, dal nord al sud della Penisola, porteranno così il nome del Santo. La sue reliquie farà arrivare Vitus fin nel cuore dell’Europa. Nel 754 le sue reliquie vengono traslate da Marino (Roma) a Pavia nella chiesa di Tutti i Santi. Nel 756 altre reliquie vengono traslate da Roma al Monastero di St. Denis a Parigi, da dove, a loro volta, nell’836 partiranno alla volta di Corwey in Sassonia. San Venceslao, nel X secolo, fonda a Praga la Cattedrale in suo onore. L’imperatore Carlo IV, nel XIV secolo, la ricostruisce facendone uno degli edifici più maestosi d’Europa. In essa riunisce tutte le reliquie del Santo. Riferendosi poi al rapporto tra il giovane martire e cristiano e la cittadina di San Vito Lo Capo don Piero Messana afferma che “tutta la tradizione relativa al Santo lo dichiara siciliano, ma in Sicilia nessun luogo ne rivendica il legame con la sua vita se non il santuario di San Vito Lo Capo. Tale rivendicazione è confermata da ritrovamenti storici, quali un’antica carta geografica araba della Sicilia, in cui il sito è chiamato con il nome del Santo, nonostante la dominazione musulmana”. L’ipogeo ritrovato all’interno del santuario, secondo l’ipotesi avanzata dall’arciprete “non è una tomba né tantomeno la tomba del santo. E’ un antichissimo battistero che con ogni probabilità è da identificare con quello di “Meltinas”, un battistero citato dal vescovo Lilibeo a Papa Leone Magno chiamato a dirimire una controversia tra la chiesa di Roma e quella di Alessandria circa la data dalla Pasqua. Un evento miracoloso avvenuto proprio il “giorno decimo delle calende di Maggio” in quel battistero convinse il pontefice a dare ragione agli orientali. Vito, giovane nobile di padre germanico e ariano e madre latina e cattolica, avrebbe trovato, dunque, accoglienza in questa piccola comunità: qui sarebbe stato battezzato e qui avrebbe subito il martirio. Da questo luogo le sue reliquie, nel 583, secondo la cronologia tedesca, sarebbero partite verso Roma e, poi, verso il cuore dell’Europa. Capo San Vito è così il nome che lega in eterno il Santo al “suo” luogo.