Un contributo dalla mostra "Across the cross"
In questi giorni sono rimbalzate notizie su nuovi crocifissi “scandalosi” dal dubbio valore artistico messi in mostra e poi “censurati” che hanno ovviamente attirato l’attenzione dei media. Vi segnalo questo brano tratto dall’intervento che Eva Di Stefano, critico d’arte e docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’Università di Palermo, ha scritto per il catalogo della mostra “Across the cross” nell’ambito del percorso artistico - culturale della Diocesi di Trapani “Fulget Crucis Mysterium” sull’iconografia della croce nell’arte sacra e contemporanea. E’ un contributo al dibattito artistico e culturale in corso.
“A volte proprio l'opera d'arte che fa scandalo è atto di fede: quando Andres Serrano immerge un crocifisso nel sangue e nell'urina (Piss Christ, 1987) ricavandone un'immagine fotografica esteticamente straordinaria, si richiama al mistero cristiano dell'incarnazione che illumina il martirio, infatti i fluidi corporali si iscrivono nell'assunzione piena della natura umana da parte del Cristo e nella ragione stessa del suo sacrificio. A dispetto delle polemiche suscitate, l'opera con la sua tinta incandescente sembra voler riaffermare l'attualità bruciante del Vangelo. Un Cristo interamente composto di sigarette è invece l'interpretazione scorata, apparentemente blasfema, del dogma di Sarah Lucas (Christ You Know It Ain't Easy, 2003) che mette a confronto le pene del Cristo in croce e le pene dell'uomo inchiodato nella fragilità del proprio corpo di cenere, le cui vie di fuga sono illusorie come la sigaretta, in un tempo dove il mito dell'effimero usa-e-getta sembra avere scalzato la speranza della vita eterna. Più recentemente nella città di Pulheim, un villaggio a nord ovest di Colonia, in Germania, si è vista un'installazione alquanto provocatoria interpretata dai media come una crocifissione: una donna vestita di bianco e distesa, come se si trovasse sul letto di morte, con la schiena rivolta verso il pubblico, all’interno di una cassa di legno inchiodata alla parete esterna di una ex sinagoga, oggi chiesa cattolica. Secondo l'autore Maurizio Cattelan, l'opera intendeva esprimere “la disperata lotta della religione e della storia contro il potere della morte”. Lo sguardo è profano, ma in verità non profanatore, poiché la Passione riguarda l'intera umanità, uomini e donne. E, d'altra parte, il tema continuamente visitato e rivisitato dagli artisti, come se vi si riconoscesse la capacità suprema di condensare in una sola immagine la sofferenza, l'ingiustizia, la speranza di resistere e andare oltre, viene oggi riproposto più nel suo valore umano che nel suo esatto significato religioso.
Empatia e identificazione: come uno specchio in cui l'artista esprime la propria ferita e la propria domanda, combinando insieme sacro e profano. Così Adrian Paci, nell'opera presente in questa mostra a Trapani, mette in scena la propria passione di emigrato alla ricerca di una nuova dimora, mostrandosi con un tetto ribaltato sulle spalle mentre si trascina a terra, come in una stazione della Via Crucis. Il tetto è quello convenzionale, a due spioventi, lo stesso che viene in mente subito quando si pensa alla casa e che ogni bambino disegna, ma poggia sulla schiena al contrario come un paio d'ali, diventando un segno dell'andare erratico invece di una copertura protettiva. E pesa come una croce sul corpo nudo, come quello di Cristo o di un lottatore, conferendo all'immagine un'aura senza tempo, sacrale forse, sacrificale certamente. Una dimensione narrativa, che l'arte attuale ha recuperato negli ultimi anni, affianca così linguaggi più concettuali che ridisegnano icasticamente il simbolo, testimoniando la presenza e le epifanie di un segno che appartiene alla memoria collettiva, oltre che alla devozione. I materiali spesso inusuali di alcune delle opere esposte indicano come oggi, dalle faglie delle nostre percezioni e dalla disillusione, possa attestarsi la ricerca di una dimensione trascendente “dentro” le cose che ci circondano.
Ma, se per gli artisti d'occidente resta il problema del confronto con il pathos della tradizione iconografica, sorprende la libera sensibilità con cui il tema è riletto dagli artisti d'oriente spesso andando al cuore del messaggio: “Colui che più profondamente mi ferisce, più profondamente mi ama” si intitola, ad esempio, il lavoro molto sensoriale di Kazumi Kurihara, sospeso tra bi- e tridimensionalità. Una croce chiara di fili di lana che sgorgano fuori dalla trama di stoffa come un cespuglio d'erba, offrendosi al tatto più che alla vista, cioè a un contatto in primo luogo fisico e senza mediazioni mentali, e porgendo calore, morbidezza, conforto come un cuscino domestico senza pretese, un uccello dalle piume arruffate ad ali aperte, un artigianale messaggio d'amore che sta per spiccare il volo. Soffice icona della resurrezione che morbidamente rovescia l'imperativo del Noli me tangere”.
Eva di Stefano
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